Facile dirlo adesso: i giornali devono cambiare, diventare un prodotto unico ma articolato su Internet e sulla carta. Ora che le borse li puniscono, le vendite traballano, la pubblicità si sgonfia per i tagli ai budget aziendali, i posti di lavoro si volatilizzano (oltre 15mila negli Stati Uniti nel corso del 2008 sono stati i licenziamenti) e che spopola Newspapers Death Watch, un sitoosservatorio sulla morte dei giornali. Il guaio è che la crisi generale colpisce tutti allo stesso modo, chi è ha innovato e chi non lo ha fatto. Ma i “cambiati”, se tali sono, esistono ed hanno cominciato molti anni fa ad attrezzarsi per far fronte ad una crisi ancor precedente, quella della frantumazione delle audience, della perdita di fiducia, dei giovani rifugiati in rete e lontani dal giornale “guntenberghiano”. Lo hanno fatto attrezzandosi con un processo tecnologico, organizzativo e specialmente culturale. Un lavoro complesso per un risultato semplice: creare un mezzo che parli ai vecchi e ai giovani, a chi legge ancora e a chi legge su mezzi diversi. E’ la continuazione del giornalismo con altri mezzi. Per raggiungere un mosaico di pubblico il più ampio possibile da offrire alla pubblicità.
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